La persuasione
Fin dall’inizio dell’evoluzione gli esseri viventi hanno sempre avuto la necessità di comunicare fra loro. Essenzialmente, la ragione principale è riconducibile al perpetuare della specie, così in molti casi si può parlare soltanto di comunicazione di tipo chimico, fra esseri appartenenti allo stesso regno e alla stessa specie. Quando però si iniziano a prendere in esame gli appartenenti al regno animale, in particolare le specie più evolute, si può iniziare a parlare di comunicazione attraverso codici complessi, che, pur non essendo ancora veri e propri linguaggi, permettono di trasmettere vari tipi di messaggio, dai segnali di pericolo ai rituali di corteggiamento, alle prime rudimentali regole di convivenza sociale.
Nell’uomo l’esigenza del linguaggio è stata una delle questioni centrali per la sopravvivenza, per potersi organizzare contro eventuali pericoli, per poter instaurare le prime relazioni sociali, per poter trasmettere alle generazioni successive le conoscenze fino a quel momento acquisite.
In ultima analisi, il comunicare sottintende una trasmissione di informazioni di vario tipo, informazioni che possono riguardare fatti, pensieri, stati d’animo, istruzioni, codici, e via dicendo. Quindi, l’esigenza di trasmettere queste informazioni è riconducibile alla necessità di soddisfare dei bisogni, da quelli primari, fisiologici, che riguardano la sopravvivenza organica e della specie (e questa esigenza appartiene senz’altro a tutte le specie viventi: la fame, la sete, il freddo, la sicurezza), a quelli secondari, di natura sociale e psichica.
Quando nell’uomo si sono consolidate le basi riguardanti i bisogni di sopravvivenza fisiologica, entra in gioco la seconda serie di bisogni, quella che riguarda la sopravvivenza psicologica dell’individuo, cioè i bisogni sociali, di appartenenza (essere accettati da un gruppo), e i bisogni dell’Io, ovvero lo status, il potere (considerazione e riconoscimento da parte degli altri).
Se è vero che per gli individui più primitivi lo status è connesso alle qualità di forza fisica e di sprezzo del pericolo, è altrettanto vero che nella società moderna questi bisogni vengono soddisfatti anche da altri valori, che possono andare dal possesso di un titolo, al denaro, alla bellezza fisica, all’importanza sociale, all’autorevolezza.
È proprio in questo quadro che si è sviluppata l’esigenza di poter influenzare, se non addirittura pilotare, la risposta dell’interlocutore all’emissione del messaggio. Quando alcuni individui hanno capito che la risposta alla propria richiesta di soddisfacimento del bisogno poteva essere in un qualche modo guidata, diretta, indirizzata al soddisfacimento del bisogno stesso, è iniziata, nella storia dell’evoluzione umana, la ricerca di quegli elementi che potevano produrre quella influenza così determinate, in altre parole, la persuasione.
Ma cos’è in realtà la persuasione? Dietro questo interrogativo si possono celare innumerevoli risposte, ma solo alcune di queste possono essere accettate.
Mettiamo il caso di un neonato che piange perché ha fame. La madre nella stanza accanto lo sente piangere ed accorre per allattarlo. In questo caso non si tratta di persuasione perché il bimbo tende al soddisfacimento di un bisogno primario. Altra sarà la situazione in cui, più avanti negli anni, il bambino farà i capricci per ottenere l’acquisto di un giocattolo o di una leccornia, ma ancora non si può parlare di persuasione. Questi due esempi non calzano ancora alla definizione di persuasione perché in essi mancano gli elementi fondamentali al riconoscimento della stessa. Innanzi tutto nel primo caso non c’è una manifestazione di volontà nell’azione del pianto, anche se la risposta della madre sembra far pensare ad una reazione all’azione persuasiva. Nel secondo caso, invece, se nella richiesta c’è una manifesta volontà, la risposta ottenuta non arriva come risultato di una persuasione, ma come reazione ad una violenza psicologica (ed acustica!) prodotta dall’insistenza del bambino sul genitore.
Se generalmente la persuasione viene vista come un artificio subdolo, essa può benissimo essere vista anche da un lato più accettabile. Gli esperti in materia sostiengono che “quando una volontà, un’intenzione, una credenza, o una decisione, devono trasferirsi da una mente a un’altra, allora si devono innescare, sul momento stesso, moti convergenti nell’una e nell’altra”, e da qui prende lo spunto per affermare che “per sua natura intima, l’arte della persuasione è un esercizio lieve. Aborrisce i mezzi pesanti. È lecito esercitare un certo ascendente, ma non fare appello al principio di autorità. L’autorità, non a caso, subentra quando la persuasione non basta….il persuadere esclude non solo la minaccia e il ricatto, ma anche mosse sleali come l’appello alla pietà o alla cieca fiducia. Di nuovo, se si deve ricorrere a questi espedienti, significa che la persuasione non basta. La persuasione può tollerare, invece, la lusinga, l’adulazione, il mettere in guardia contro futuri dolori o la suggestione di futuri piaceri, l’ambiguità, il presupposto non detto, la conseguenza non dichiarata”.
Dunque la persuasione non è un’opera di convincimento, che si propone di “indurre” qualcuno ad agire contro la propria volontà, facendo leva su meccanismi molto più potenti, nonché lesivi della libertà dell’altro, fino a tollerare la minaccia, il ricatto, il ricorso al senso di colpa, la corruzione, e così via. Si tratta invece di un atto che comporta sempre una scelta, un esercizio di libera volontà, significa, cioè, indurre un cambiamento dell’opinione altrui solo per mezzo di un trasferimento di idee, un passaggio di puri contenuti mentali.
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