L’Educatore nella Scuola
L’educatore si colloca all’interno della cosiddetta categoria dei “professionisti dell’aiuto” cioè di coloro che entrano in contatto con varie tipologie di utenti che necessitano di sostegno. Situazioni diverse, quindi, che richiedono diverse modalità di approccio, ma un’unica base di partenza che esige la presenza di quattro costanti fondamentali: conoscenza, professionalità, competenza e motivazione. Senza questi fondamentali ingredienti la prestazione erogata si ridurrebbe a una prestazione tecnica, meccanica che, se da un lato potrebbe essere uno strumento di difesa da coinvolgimenti personali troppo profondi, dall’altro svuoterebbe l’intervento della sua “essenza”. L’intervento dell’educatore è complesso e articolato in quanto esercita quotidianamente un ruolo di mediazione tra i bisogni degli utenti e le risorse professionali e strumentali messe in campo dalla scuola e dal territorio.
Comporta la capacità di essere flessibile e in grado di interagire con diversi interlocutori senza mai dimenticare i confini e le peculiarità del proprio ruolo. La scuola, in quanto sistema di relazioni, ha in sé soprattutto per i minori diversamente abili, enormi potenzialità; basti pensare come la collaborazione, il confronto, l’interazione, gli obiettivi comuni tra le diverse figure professionali, se in sinergia e nel rispetto delle specifiche competenze, possono trovare e sviluppare le strategie migliori per permettere al bambino/ragazzo di crescere nella sua diversità, stimolando e attivando in lui la maggiore autonomia possibile. Il minore diversamente abile, a modo suo, con i suoi limiti e difficoltà, “sa” molte cose, ha esperienza del proprio corpo, della realtà che lo circonda e ha delle modalità personali di conoscenza dell’ambiente, di sé e degli altri, oltre che personali modalità di comunicazione. A volte ciò è sottovalutato o non preso nella dovuta considerazione; l’attenzione cioè è posta solo su quello che il bambino/ragazzo non può essere o non può fare rispetto ai canoni di normalità. Il processo educativo, a differenza di qualsiasi forma di istruzione in cui si privilegia l’aspetto informativo, richiede la relazione tra le persone, e non una relazione qualsiasi, ma un rapporto segnato da una precisa tonalità emozionale, vale a dire dalla fiducia. Dall’ingresso nella scuola dell’infanzia e successivamente negli altri ordini di scuola, l’alunno si trova a incontrare e conoscere una nuova immagine di sé e a fare nuove esperienze. Per un soggetto disabile il percorso di riconoscimento è particolarmente complesso e sofferto, determinante per la sua vita futura. Per i minori diversamente abili, soprattutto per quelli che, per diversi motivi, hanno avuto poche esperienze di vita di relazione tra pari o hanno vissuto lunghi periodi di ospedalizzazione, la scuola è forse il luogo dove meglio di ogni altro possono essere poste le fondamenta per uno sviluppo armonioso delle loro potenzialità nel rispetto della “diversità”, tenendo conto del momento evolutivo, dei ritmi e dei tempi di sviluppo personali, ma anche della capacità di comprensione e di elaborazione di competenze diverse. L’educatore è una figura adulta importante per il minore, che ha già imparato a conoscere la propria immagine emotiva nella relazione con la madre, il padre e le figure familiari affettivamente importanti per lui. L’educatore è chiamato a riconoscere e ad ascoltare con particolare attenzione i sentimenti che ciascun minore prova e sperimenta, ad amplificarli, a dar loro voce, a completarli e, se possibile, ad attribuire loro un significato, salvaguardando così la comunicazione con il gruppo per favorire una reale integrazione. L’educatore, quando è in servizio, si trova ad essere un effettivo “elemento di cambiamento”, ed è necessario che sviluppi una particolare sensibilità e disponibilità a individuare bisogni spesso inespressi. L’azione educativa deve avvenire nel pieno rispetto della soggettività ed unicità del minore, del suo patrimonio familiare, genetico e culturale, con le sue peculiarità, non condizionate da dover essere altro da sé. A tal fine è importante muoversi nell’ottica che qualunque manifestazione dei soggetti, anche le più inadeguate al contesto, hanno un loro significato, ovvero parlano all’educatore, manifestandogli qualcosa del Sé. Ogni manifestazione è pertanto importante e va colta per il suo potenziale espressivo e la sua intenzione comunicativa. Compito dell’educatore è considerare l’alunno e le dinamiche del gruppo in cui lo stesso è inserito, trovando le strategie più efficaci affinché ciascun minore si senta accolto e parte del gruppo. Le relazioni che si instaurano nel contesto della scuola, si sovrappongono, si intrecciano e si influenzano vicendevolmente. L’analisi di tali relazioni, così come la ricerca di percorsi comuni, possono influenzare positivamente o negativamente la vita futura del minore. Il successo del processo educativo dell’alunno disabile è strettamente connesso al grado di integrazione che si raggiunge all’interno del gruppo classe. L’’educatore di sostegno quando è pienamente inserito nell’organizzazione della scuola ,può svolgere la sua azione che non si limita al rapporto con il minore disabile, ma si esplica anche nel lavoro con la classe, per fungere da mediatore fra la realtà dell’alunno con handicap e i compagni, attraverso un rapporto significativo supportato dall’operatività. L’integrazione del minore disabile, necessita quindi del coinvolgimento di tutte le componenti della scuola, in modo che il processo diventi relazione significativa fra più soggetti e quindi un’occasione di crescita per tutti. Assumere la diversità come elemento strutturale e non patologico presuppone il superamento della concezione che vede la persona con disabilità come soggetto che “riceve soltanto” dai compagni una serie di stimoli che influiscono sul suo sviluppo cognitivo, motorio, sociale, affettivo, ma soprattutto come persona che “offre” ai compagni l’opportunità di imparare ad esercitare valori quali la convivenza, pur nella diversità propria e altrui, la consapevolezza dei propri limiti, la tolleranza e la solidarietà.
Nel gruppo dei pari, infatti, la presenza dei “diversi”, impone la riduzione della dissonanza cognitiva. La vicinanza con l’altro, superata la prima fase di conoscenza, a volte difficile, porta necessariamente all’azione orientata al bene sociale, grazie alla capacità di empatia che i soggetti in età evolutiva hanno e che si sviluppa sulla base delle affinità con il disabile e con tutti i compagni. Le classi integrate arricchiscono ogni alunno dando loro l’opportunità di imparare dagli altri, di occuparsi degli altri e di acquisire inclinazioni, abilità e valori necessari per sviluppare l’autostima e il rispetto di sé e degli altri. I minori che convivono in classe con compagni disabili elaborano una maggiore maturità sul piano emotivo e cognitivo. Per i soggetti disabili, viceversa, stare con i compagni “normali”, aumenta la voglia di fare, di imitare, di emulare e quindi di “imparare”.
Gli strumenti che l’educatore impara a utilizzare e affinare nell’esercizio del suo incarico privilegiano la relazione empatica, l’osservazione partecipe, la capacità di lavorare in gruppo con figure professionali diverse, la supervisione psicologica e soprattutto l’utilizzo della famiglia come risorsa indispensabile del proprio lavoro.